Spettatori del bullismo.

Gli spettatori del bullismo e il disimpegno morale.

I perché del non intervento

Raramente un episodio di bullismo o, ancora di più, di cyberbullismo può avvenire come “fatto privato” tra un bullo e una vittima. Al contrario sono molte le persone spesso coinvolte nel ruolo di “spettatori” che, se non intervengono fiancheggiando il bullo o difendendo la vittima, vengono definiti “passivi” o “silenziosi”. E’ possibile spiegare la “passività” dello spettatore?


La risposta è ovviamente positiva anche se non semplice, dal momento che questa è sicuramente conseguenza di numerosi fattori sociali e soggettivi. Tra questi ne evidenziamo qua uno che, avendo a che fare con la gestione della condotta morale individuale, è tra i responsabili di gran parte dei comportamenti “passivi” o delle azioni dannose “non accompagnate da senso di colpa” che possono venirci in mente, anche al di fuori del bullismo.


Secondo Albert Bandura, psicologo canadese, ritratto qua accanto, la condotta morale individuale è regolata da tre semplici passaggi mentali:

1. la persona osserva ciò che fa, dice, pensa;

2. lo confronta con le proprie norme morali interiorizzate, in poche parole “con ciò che ha imparato essere giusto o sbagliato”;

3. se rileva qualche discrepanza, del tipo “ho fatto o ho pensato di fare qualcosa che ritengo sbagliato” oppure “non ho fatto o ho pensato di non fare qualcosa che sarebbe stato giusto”, si “auto-sanziona”, sperimenta cioè senso di colpa o vergogna e cerca di rimediare, ad esempio scusandosi, punendosi, cercando di modificare i propri comportamenti o le proprie idee e così via.

 

Come per tutti i comportamenti criminali o devianti sappiamo che, anche nel caso del bullismo e del cyberbullismo, esiste purtroppo una certa percentuale di individui che, pur compiendo atti di bullismo, partecipandovi in qualche modo od osservandoli passivamente, non si auto-sanziona, cioè non prova vergogna o non si sente in colpa, “semplicemente” perché non rileva alcuna discrepanza tra i primi due punti: non vede cioè in tali azioni nulla di sbagliato.

Sappiamo però anche che simili soggetti costituiscono una minima percentuale di coloro che, direttamente o indirettamente, possono venire coinvolti in episodi di bullismo o cyberbullismo. Non c’è dubbio che la maggior parte degli “spettatori” ritengono sbagliati tali fenomeni e tutti i comportamenti associati. Malgrado ciò, in moltissimi casi, rimangono appunto “passivi”: “sanno e non parlano”, “vedono ma non intervengono” ed anche, soprattutto in rete, condividono immagini o frasi attraverso le quali qualcuno viene denigrato o umiliato, o lasciano, apparentemente “senza far danno a nessuno”, un proprio “mi piace”. Perché?

Per paura? Consapevoli che vi siano realmente situazioni in cui il bullo e i suoi “seguaci” possano davvero incutere molto timore, aspetto che però decade pesantemente nel mondo “virtuale” del cyberbullismo, l’esperienza intorno al fenomeno ci suggerisce che, nella maggior parte dei casi, entrano in gioco altri fattori.

Piccola parentesi: sapete che il nostro cervello è sistematicamente attento a risparmiare, in ogni cosa che fa, quanta più energia possibile? Questo è, tra gli altri, il motivo per cui spesso per gli esseri umani è così difficile “cambiare” anche in comportamenti o stili di vita chiaramente dannosi per sé stessi. Se ci pensiamo, tornando ai punti iniziali, quello dell’auto-sanzione, che potrebbe portare uno spettatore, dopo una prima fase di “osservazione passiva”, ad intervenire in qualche modo al ripetersi di atti di bullismo, è un’esperienza di gran lunga energeticamente “più dispendiosa” che il “non fare nulla” o il “voltarsi dall’altra parte”. Seguendo pressoché automaticamente questa predisposizione della propria mente quello spettatore potrebbe quindi ritrovarsi, come in effetti accade nella maggior parte dei casi, a non fare effettivamente nulla.

A questo punto però sorge un conflitto tra i tre passaggi di Bandura descritti all’inizio e il principio del “risparmio energetico”, simile a ciò che può accadere tra la parte di me che vuole smettere di fumare, consapevole dei danni che il fumo mi provoca, e la parte che non vuole affrontare, o non ci riesce, la fatica, il dispendio di energia appunto, che può comportare conseguire questo cambiamento.

Il conflitto deriva dal fatto che i tre punti descritti all’inizio non sono facoltativi né slegati tra loro. In altre parole: gli esseri umani non possono “evitare” di osservare costantemente ciò che fanno, dicono o pensano; non possono “evitare” di confrontare ciò che osservano con ciò che hanno imparato riguardo a cosa sia “giusto o sbagliato”; non possono “evitare” di percepire un disagio in caso di discrepanza tra i primi due punti: “ho fatto qualcosa di sbagliato” oppure “non ho fatto qualcosa che sarebbe stato giusto”.

Nel momento in cui quindi un processo automatico di “risparmio energetico” porta l’individuo a manifestare comportamenti che non può però evitare di valutare “sbagliati” e per i quali non può evitare di sperimentare disagio, come “ne esce” la persona se non modificando il suo comportamento e abbandonando, ad esempio, la sua posizione di osservazione passiva in un episodio di bullismo? Se questa fosse l’unica via d’uscita il numero di coloro che costituiscono l’insieme degli spettatori passivi dovrebbe risultare nel tempo fortemente ridotto, ma non è sempre così.

Questo perché una via d’uscita alternativa esiste in realtà: tutti noi la utilizziamo moltissimo, quotidianamente, spesso inconsapevolmente, anche al di fuori degli episodi di bullismo, in maniera drammaticamente sempre più evidente: sono sufficienti pochi minuti di osservazione da una panchina di una qualunque strada cittadina o di lettura, su un qualsiasi social in rete, dei commenti ad una qualche notizia su un tema “caldo” e attuale, ad esempio l’immigrazione, i vaccini e così via. E’ di nuovo Bandura a descriverci tale scappatoia attraverso il concetto di disimpegno morale.

Il disimpegno morale è una capacità, che l’essere umano possiede, di “distorcere” cognitivamente, cioè con il pensiero, la realtà in maniera tale da ridurre o annullare la probabilità di sperimentare un disagio come quello descritto. In poche parole: è come se tra il momento del confronto tra le proprie azioni e le proprie norme morali (punto 2) e la rilevazione della discrepanza con successiva esperienza di disagio e di auto-sanzione (punto 3), l’individuo inserisse una delle molteplici “giustificazioni” che ha a disposizione per non notare in realtà alcuna discrepanza e, di conseguenza, non sentirsi a disagio e in dovere di auto-sanzionarsi in alcun modo.


In definitiva il disimpegno morale permette all’individuo di “disattivare” temporaneamente la propria coscienza giustificando i propri comportamenti, anche se dannosi per qualcuno, senza sentirsene in colpa.


Grazie ad alcune di tali “giustificazioni” lo spettatore passivo di atti di bullismo, ad esempio, può rimanere tale, rispettando anche il principio del “risparmio energetico”. Stessa cosa può fare colui che di fatto partecipa “senza fare del male a nessuno” ad episodi di cyberbullismo condividendo o lasciando “innocui” “mi piace”.

Quello che segue è un elenco degli otto meccanismi più utilizzati, perché più efficaci, per distorcere cognitivamente la realtà e giustificare i propri comportamenti. Gli esempi che forniremo di ogni meccanismo non riguardano solo il bullismo, in modo tale da mostrare quanto diffuso e frequente sia il loro utilizzo nella quotidianità e “richiamare” gli adulti sulla “facilità” con cui è possibile fornire ad un bambino o ad un ragazzo esempi di disimpegno morale da loro replicabili poi in altre situazioni, come appunto quelle riguardanti, ad esempio, episodi di bullismo.

Meccanismi attraverso i quali posso dare al mio comportamento dannoso un significato o un valore meno grave:

1) Il contrassegno benevolo: attraverso un abile uso del linguaggio questo meccanismo permette di ridimensionare, appunto “a parole”, la gravità di un comportamento, attribuendo alle azioni compiute caratteristiche che le rendono accettabili o perfino rispettabili.

In episodi di bullismo: “stavamo solo scherzando” oppure “fanno bene a trattarlo in questo modo: così finalmente (la vittima) crescerà, imparerà a reagire e a farsi rispettare”.

In altre situazioni: quante cose vengono dette o fatte, ad esempio da un genitore verso un figlio, fino ad arrivare ai giudizi pesanti o alle percosse sistematiche, “per il suo bene”?

2) La giustificazione morale: rende determinate azioni dannose più accettabili, personalmente e socialmente, attribuendo ai comportamenti motivazioni di natura morale o ideologica.

In episodi di bullismo: “Anna ha postato quel video in cui si vede Paola ubriaca, dopo però che Paola le ha fatto quel brutto gesto in classe, comportandosi male con lei: si meritava una punizione”.

In altre situazioni: “quell’anziano in coda al supermercato mi stava passando davanti, non importa se aveva solo un pacchetto, è una mancanza di rispetto nei miei confronti, ho fatto bene ad umiliarlo di fronte a tutti, in questo modo gli servirà da insegnamento”, oppure “lo so che non sto dicendo tutta la verità su di lui e lo sto mettendo eccessivamente in cattiva luce ma in fondo faccio bene perché è una cattiva persona o perché le mie idee sono migliori delle sue e in questo modo potranno essere tenute in maggiore considerazione e portare a risultati positivi per tutti”.

3) Il confronto vantaggioso: riduce la gravità di un’azione ponendola a confronto con una ben più grave.

In episodi di bullismo: “è vero, le ho fatto cadere l’astuccio, ma non l’ho poi preso a calci come hanno fatto le altre”.

In altre situazioni: “sì, ho parcheggiato l’auto in seconda fila, ma per poco tempo, mica come quel tizio che ha messo la sua macchina in seconda fila per ore l’altro giorno”.

Meccanismi grazie ai quali posso prendere le distanze dalla responsabilità di ciò che ho fatto:

4) Lo spostamento delle responsabilità: permette alle persone, anche se consapevoli della negatività delle loro azioni, di compierle ugualmente ritenendole conseguenze inevitabili di determinati eventi o della responsabilità di altri individui.

In episodi di bullismo: “mi sono comportato in questo modo con Luca perché me lo ha ordinato Piero, che altrimenti non mi avrebbe più rivolto la parola ”, oppure “non ho fatto nulla per aiutare Giovanni perché altrimenti tutti avrebbero preso di mira anche me”.

In altre situazioni: quante azioni, anche terribili, vengono compiute perché “sto solo eseguendo degli ordini”, “sto solo facendo il mio dovere”, “non c’è nulla di personale, è solo una questione economica quella per cui ti devo licenziare”, “non ho nulla contro di te ma qua le risorse per tutti non ci sono, quindi te ne devi andare” e così via?

5) La diffusione delle responsabilità: permette alle persone, anche se consapevoli della negatività delle loro azioni, di compierle ugualmente ritenendo la propria responsabilità parziale, quindi non grave, e condivisa con altri, ad esempio con il gruppo.

In episodi di bullismo: “è vero che ho riso quando l’hanno presa in giro ma non ero l’unica, tutti lo stavano facendo”.

In altre situazioni: “sicuramente quella bottiglia buttata sulla strada è pericolosa e avrei potuto raccoglierla ma non sono mica il solo a passare di lì, perché devo pensarci sempre io”?

6) La distorsione della conseguenze: sminuendo gli effetti negativi delle proprie azioni o non avendone piena consapevolezza questo meccanismo ne riduce il senso di responsabilità.

In episodi di bullismo: “in fondo Carlo rideva assieme a tutti gli altri mentre lo prendevano in giro”, oppure “non potevo rendermi conto di quanto lei soffrisse per le foto su di lei che stavamo condividendo e commentando, non potevo vederla attraverso la tastiera del mio computer”.

In altre situazioni: “cosa vuoi che cambi se butto una sigaretta in più per terra, se getto un’unica lattina nella plastica, se non vado a votare, se per una volta mi faccio raccomandare anche io e così via”?

Infine: meccanismi che, attribuendo caratteristiche negative o colpe alle vittime, rendono meno gravi i miei o altrui comportamenti dannosi verso di loro:

7) L’attribuzione di colpa alla vittima: addossando sulla vittima parte della responsabilità per ciò che le è accaduto, viene parzialmente “distolta l’attenzione” dai comportamenti dannosi che risultano meno gravi o, addirittura, giustificabili.

In episodi di bullismo: “certo che se Giuseppe viene a scuola vestito in quel modo è ovvio che gli altri lo prendono di mira”.

In altre situazioni: “se vai in giro conciata così non ti lamentare se poi trovi quello che ti violenta”.

8) La deumanizzazione della vittima: sminuendo la vittima, attribuendole caratteristiche spregevoli e privandola di parte delle caratteristiche che possono sollecitare l’altrui empatia è possibile giustificare azioni anche molto crudeli nei suoi confronti.

In episodi di bullismo: è un meccanismo attivo soprattutto nei casi di bullismo di genere (maschi verso le femmine) o razziale.

In altre situazioni: lasciamo qua ad ognuno la libertà di pensare a quante e quali azioni terribili siano state compiute, nella storia dell’umanità, e giustificate dallo scarso valore o dalle caratteristiche disprezzabili attribuiti al gruppo etnico, alla cultura, alla religione, al genere e così via di appartenenza delle vittime. Lasciamo qua ad ognuno la libertà di pensare a come e quanto questo possa quotidianamente accadere, più “nel piccolo”, all’interno delle nostre relazioni interpersonali.

 

 

 

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