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Ricevo ad Albenga e Albisola (Savona)

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Domandarsi in quali circostanze lo psicologo abbia l’obbligo di denuncia all’Autorità Giudiziaria di reati di cui venisse a conoscenza nell’esercizio della propria professione vuol dire domandarsi se esistono delle condizioni che costringono lo psicologo a derogare dall’obbligo di mantenimento del segreto professionale e dall’obbligo di tutela della privacy ed in ultima analisi vuol dire domandarsi: “posso davvero dire tutto al mio psicologo?”

Chiariamo subito che i timori della persona che si rivolge ad uno psicologo in merito all’obbligo di denuncia non riguardano solo la “confessione” di reati che questa può avere commesso, ma anche quelli di cui può essere, in maniera diretta o indiretta a conoscenza, e quelli, la situazione più frequente nella realtà, che può aver subito, pensiamo ad esempio ai casi di abuso o di maltrattamento famigliare, ma che al momento non desidera assolutamente denunciare.

Parlare di obbligo di denuncia nell’esercizio di una professione sanitaria, di segreto professionale per lo psicologo e di tutela della privacy vuol dire fare riferimento soprattutto agli articoli 361, 362, 365 e 378 del Codice Penale, agli articoli 331 e 334 del Codice di Procedura Penale, agli articoli 11, 12 e 13 del codice deontologico degli psicologi italiani e al Decreto Legislativo 30.6.2003 numero 196 e successive modificazioni. Troverai i contenuti dei documenti qua sopra non linkati in appendice in fondo all’articolo.

L’analisi di questo materiale evidenzia che, nel diritto italiano, esistono alcune distinzioni di assoluta importanza che dobbiamo considerare con attenzione per poter rispondere alle nostre domande iniziali.

    • La prima distinzione rilevante da considerare è quella tra pubblico e privato. Se il colloquio con uno psicologo avviene al’interno di un servizio pubblico, perché lo psicologo in questione è dipendente del Servizio Sanitario Italiano (SSN) o perché opera in convenzione con questo, mi sto trovando di fronte ad un pubblico ufficiale, nel primo caso, o ad un incaricato di pubblico servizio, nel secondo. Se invece ci incontriamo privatamente presso il suo studio (indipendentemente dal fatto che lui sia anche dipendente del SSN o operi anche in convenzione con questo), sto parlando “semplicemente” con un libero professionista.
  • La seconda significativa distinzione da valutare riguarda invece il reato che può essere perseguibile d’ufficio, cioè punibile anche se la parte lesa non sporge denuncia, o non perseguibile d’ufficio, cioè non punibile se la parte offesa non ha sporto querela. Qua purtroppo la situazione si complica un po’ soprattutto nel caso di reati che, nella loro forma che potremmo definire “semplice”, implicano l’obbligo di denuncia per poter procedere, come nei casi delle lesioni o della violenza sessuale, che divengono però perseguibili d’ufficio, quindi anche senza denuncia sporta da parte di chi li avesse subiti, se “aggravati”, ad esempio dalla gravità delle lesioni o per l’età della vittima.
  • La terza e ultima distinzione da tenere presente riguarda la denuncia all’Autorità Giudiziaria che è obbligatorio redigere in forma scritta una volta che si è venuti a conoscenza, nell’ambito dell’esercizio di una professione sanitaria, di fatti che potrebbero rappresentare ipotesi di un reato. Se, tornando alla prima distinzione, ci riferiamo ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio, tale denuncia scritta assume il nome di rapporto, se invece è un libero professionista a redigerla, parleremo di referto.

Riassumendo quanto detto fino a questo punto, gli elementi della situazione da riconoscere sono: se il reato in questione è perseguibile d’ufficio o no e se il professionista che sto informando in merito stia esercitando in quel momento come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, con obbligo di rapporto, o come libero professionista, con obbligo di referto.


Fatte queste distinzioni possiamo ora rispondere alle domande iniziali sull’obbligo di denuncia da parte dello psicologo con cui mi sto confidando, dicendo che:

    • Chiunque, mentre sta esercitando una professione sanitaria in veste di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, venisse a conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio, è sempre obbligato a farne denuncia all’Autorità Giudiziaria redigendo un rapporto.
  • L’obbligo di rapporto, ed ovviamente anche quello di referto, decadono sempre invece nel caso di reati non perseguibili d’ufficio.
  • Chiunque, mentre sta esercitando una professione sanitaria in veste di libero professionista, venisse a conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio, è obbligato a farne denuncia all’Autorità Giudiziaria redigendo un referto. Al contrario del rapporto però il referto non è mai obbligatorio:
    • se espone il paziente al rischio di un procedimento penale;
    • se espone il libero professionista ad un possibile danno nel fisico, nella libertà o nell’onore della propria persona o di quella di un proprio congiunto.
  • Il libero professionista è invece sempre obbligato, come in realtà ogni cittadino, a denunciare all’Autorità Giudiziaria reati di cui venisse a conoscenza “contro la personalità dello Stato Italiano”, come nel caso di eversione o attentati, o comunque reati che prevedano come pena l’ergastolo. Per chiarire meglio questo punto: l’omicidio, ad esempio, non prevede come pena l’ergastolo se non in presenza di una o due aggravanti, come l’efferatezza del gesto, la premeditazione, l’età della vittima, lo stato mentale dell’omicida e così via. Ne deriva che l’obbligo di referto, pur considerato, è in realtà estremamente raro.

Per ulteriore chiarezza facciamo a questo punto alcuni esempi concreti:

    • Uno psicologo che assiste privatamente, nel proprio studio, quindi come libero professionista, un paziente e viene a conoscenza del fatto che questo ha abusato sessualmente di un bambino non è obbligato a denunciarlo al’Autorità Giudiziaria, perché il referto esporrebbe il paziente ad un procedimento penale. Come già detto non importa se lo psicologo in questione presti anche parte della propria opera in convenzione con il SSN all’interno dei servizi pubblici: i due si trovano, in quel momento, nel suo studio, chiaramente all’interno di una relazione privata nella quale il professionista non può essere identificato come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
  • Uno psicologo che invece viene a conoscenza dello stesso fatto nel momento in cui assiste il paziente all’interno di una struttura pubblica è obbligato sempre a redigere il rapporto, denunciando il fatto all’Autorità Giudiziaria. Anche in questo caso non importa se lo psicologo svolga abitualmente anche o soprattutto attività privata: in quel preciso momento è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.
  • Uno psicologo che assiste privatamente, nel proprio studio, quindi come libero professionista, un’adolescente quattordicenne e viene a conoscenza del fatto che questa è stata abusata sessualmente deve redigere il referto denunciando il fatto all’Autorità Giudiziaria, perché non esporrebbe la paziente, in quanto vittima, ma un’altra persona al rischio di un procedimento penale. Ma se questa altra persona, per qualche motivo presente alla visita, minacciasse lo psicologo o i suoi familiari di un qualche danno nel fisico, nella libertà o nell’onore, il professionista sarebbe esonerato dal redigere il referto.
  • Uno psicologo che, nella stessa situazione appena vista, opera invece come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio non è mai esonerato dall’obbligo di redigere il rapporto neanche se minacciato.

Due note finali ma non banali, prima di fornire agli interessati l’elenco dei reati perseguibili d’ufficio e gli articoli del Codice Penale e del Codice di Procedura Penale sopra citati.

    • L’obbligo di rapporto per il pubblico ufficiale o per l’incaricato di pubblico servizio sussiste anche se si viene a conoscenza di un ipotetico reato perseguibile d’ufficio non durante le ore dedicate alla propria attività professionale pubblica ma comunque a causa di questa, se è cioè evidente o esplicitato che la persona che sta riferendo il fatto lo sta facendo proprio perché a conoscenza della funzione pubblica ricoperta dal professionista. Una comunicazione del tipo “desidero informarla di questo fatto perché so che lei è consulente dei servizi sociali del comune di…” comporterebbe obbligo di rapporto anche se avvenisse al bar.

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A questo punto ritengo possa risultare utile riproporre il riassunto presentato dal dott. Mario Corcelli sulle pagine riguardanti la medicina legale del sito medicitalia.it in merito a quali siano per la giustizia italiana i reati perseguibili d’ufficio che possono interessare l’attività del professionista sanitario:

  • delitti contro la vita: omicidio volontario, preterintenzionale e colposo; omicidio del consenziente; morte come conseguenza di altro delitto; istigazione ed aiuto al suicidio;
  • delitti contro l’incolumità individuale: lesioni personali dolose gravissime (malattia certamente o probabilmente insanabile, perdita di un senso, perdita di un arto o mutilazione che renda l’arto inservibile, perdita dell’uso di un organo, perdita della capacità di procreare, permanenti gravi difficoltà della favella; deformazione o sfregio permanente del viso, aborto della persona offesa, mutilazioni di organi genitali femminili, come la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione); lesioni personali dolose, da cui sia derivata una malattia di durata superiore a 20 gg; lesioni personali dolose aggravate (pericolo per la vita, malattia superiore ai 40 giorni, lesione permanente di un senso di un organo, su donna incinta e se dal fatto deriva l’acceleramento del parto); lesioni personali colpose aggravate, solo se commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro; la malattia professionale; sono escluse le lesioni lievissime e le percosse;
  • delitti contro la libertà personale: sequestro di persona, violenza sessuale di gruppo, la violenza privata, la minaccia aggravata e l’incapacità procurata mediante violenza; prostituzione minorile;
  • delitti contro la famiglia: l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina e i maltrattamenti in famiglia;
  • delitti contro la pietà verso i defunti: vilipendio di cadavere, distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere, occultamento di cadavere, uso illegittimo di cadavere;
  • l’interruzione di gravidanza effettuata in violazione della Legge 194/78 o di specifiche previsioni in essa contenute (delitti di aborto: l’aborto colposo, l’aborto conseguente a lesione personale dolosa, l’aborto di donna non consenziente, l’aborto di minore o di interdetta, l’aborto seguito da morte della donna, il tentativo di aborto, il parto prematuro colposo e l’acceleramento preterintenzionale del parto);
  • delitti sessuali: la congiunzione carnale abusiva di pubblico ufficiale, gli atti osceni e l’incesto; la violenza carnale, gli atti di libidine violenti; il ratto, la seduzione e la corruzione di minorenni nei casi previsti dalla legge; atti sessuali con minorenni, i reati connessi alla pornografia minorile;
  • delitti contro l’incolumità pubblica: tutte le attività pericolose per la salute pubblica che espongano al pericolo di epidemie, di intossicazioni e, in genere, di danni da alimenti, bevande o medicinali guasti.

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Appendice

Dispositivo dell’art. 361 Codice Penale

Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorità Giudiziaria, o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da trenta euro a cinquecentosedici euro. La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto. Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa.

Dispositivo dell’art. 362 Codice Penale

L’incaricato di pubblico servizio, che omette o ritarda di denunciare all’Autorità indicata nell’articolo precedente un reato del quale abbia avuto notizia nell’esercizio o a causa del servizio, è punito con la multa fino a centotre euro. Tale disposizione non si applica se si tratta di un reato punibile a querela della persona offesa né si applica ai responsabili delle comunità terapeutiche socio-riabilitative per fatti commessi da persone tossicodipendenti affidate per l’esecuzione del programma definito da un servizio pubblico.

Dispositivo dell’art. 365 Codice Penale

Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la multa fino a cinquecentosedici euro. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.

Dispositivo dell’art. 378 Codice Penale

Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce [la pena di morte o] (1) l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con la reclusione fino a quattro anni. Quando il delitto commesso è quello previsto dall’articolo 416bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni. Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a cinquecentosedici euro. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto.

Note (1) La pena di morte è stata abrogata con conseguente sostituzione della stessa con la pena dell’ergastolo.

Dispositivo dell’art. 331 Codice di Procedura Penale

1. Salvo quanto stabilito dall’articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.

Dispositivo dell’art. 334 Codice di Procedura Penale

1. Chi ha l’obbligo del referto deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al pubblico ministero o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all’ufficiale di polizia giudiziaria più vicino. 2. Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare. 3. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto.

4 commenti su Obbligo di denuncia

  • Giulia  :

    Volevo chiedere se nel caso in cui lo psicologo del consultorio venga a conoscenza di una situazione di violenza domestica in cui sono presenti anche minori, è obbligato o meno a segnalarlo e a chi.
    Grazie

    • Maurizio Ferrari  :

      Buongiorno Giulia, data la delicatezza della questione io mi rivolgerei in prima battuta al referente per la deontologia dell’ordine regionale di appartenenza dello psicologo che è “venuto a conoscenza” della situazione, anche perché, così come descritto nell’articolo, sono numerosi i particolari, comprensibilmente non forniti nella sua domanda, che possono rendere la segnalazione obbligatoria o no: parliamo di un consultorio pubblico o privato? Lo psicologo è venuto a conoscenza della situazione direttamente (ad es. all’interno di un colloquio di consulenza svolto all’interno del consultorio)o in altro modo? Nel secondo caso, in che modo? Se all’interno di un colloquio, con chi(con l’autore delle violenze, con le vittime, con altri)? Di che tipo e gravità di violenza si parla? I minori coinvolti sono “spettatori” o a loro volta vittime della violenza? Purtroppo ognuno dei molti elementi in gioco muta decisamente il quadro, quindi rinnovo l’invito iniziale. Se vorrà, condivida pure con noi le risposte che eventualmente le verranno fornite. Grazie.

  • Rossana  :

    Nel caso in cui uno psicologo sapesse in modo diretto (es. collaborando con un’istituzione scolastica) di una situazione in cui è necessaria una segnalazione ai servizi sociali per proteggere dei minori, come si dovrebbe muovere? Può fare una segnalazione o sarebbe una violazione del segreto professionale? Mi sto preparando per terza e quarta prova dell’esame di stato per l’abilitazione alla professione 🙂 cordiali saluti

    • Maurizio Ferrari  :

      Buongiorno Rossana. L’argomento della violazione del segreto professionale non è sempre di facile lettura. Non arrogandomi la qualifica di esperto in materia, consiglio, come in altri casi precedenti, di contattare il responsabile per la deontologia professionale del suo Ordine Regionale di riferimento. Esprimendo un mio parere (che ha però il valore di cui sopra) indico alcuni punti critici. Riterrei innanzitutto necessario meglio definire quel “modo diretto” cui fa riferimento e se questa è una modalità coperta da segreto professionale. Ad esempio: durante un colloquio psicologico con un genitore viene a sapere di condotte “segnalabili” di questo nei confronti dei propri figli: il suo “paziente” in quel momento è il genitore e verso di lui è obbligata al mantenimento del segreto professionale, a meno che lei non sia, in quel momento, un pubblico ufficiale. Con questo veniamo al secondo punto: in quale “veste” lei collabora con questa scuola? E’ un Istituo pubblico o privato? Se lei lavora come psicologa (non direi se non ha ancora l’abilitazione) all’interno di un Servizio Pubblico, le persone che si rivolgono a lei devono sapere che si stanno rivolgendo ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico ufficio con determinati obblighi di segnalazione di determinati reati cui venisse a conoscenza, con decadenza dell’obbligo di mantenimento del segreto professionale. Altre modalità attraverso le quali è invece venuta a conoscenza della situazione (non lavorando da psicologa abilitata, non all’interno di un colloquio psicologico o di altro setting coperto da segreto professionale, non direttamente da parte del responsabile dei comportamenti da perseguire, da parte delle parti “lese” dei comportamenti in questione, per sottolineare le più rilevanti) a parere mio non la vincolerebbero al mantenimento del segreto professionale, soprattutto, aspetto non irrilevante, nel momento in cui le parti lese sono minori. Confermo però la necessità di maggiore chiarezza su alcuni passaggi dell’esperienza che ha condiviso e di rivolgersi per un parere al suo Ordine regionale di riferimento. Grazie e se vuole condivida pure con noi le risposte che le verranno fornite.

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