Il sostegno del gruppo

Una semplice introduzione

Se ci pensiamo per un istante noi passiamo gran parte della nostra vita entrando ed uscendo continuamente da gruppi di varia natura e dimensione. Dal primo con il quale entriamo in contatto, la nostra famiglia, passando per la classe scolastica o il gruppo dei colleghi di lavoro, fino ad arrivare alle persone con cui condividiamo la coda alla cassa del supermercato o ai “moderni” gruppi di vario tipo su internet.

Se ci fermiamo per un istante a riflettere, anche quando siamo da soli, “immersi” nei nostri pensieri, molte delle cose che ci diciamo mentalmente, in apparente solitudine, le stiamo in realtà riferendo, più o meno consapevolmente, ad un qualche ascoltatore esistente, anche se non fisicamente presente al momento: la persona che mi ha fatto uno sgarbo mentre penso a come avrei dovuto risponderle o l’amico che mi fa stare bene, intanto che mi soffermo su ciò che provo nei suoi confronti e che vorrei dirle, e così via.

Io stesso, nel momento in cui mi ritrovo a scrivere queste righe in compagnia della sola tastiera del computer, in realtà non sono solo, perché penso a coloro che le leggeranno e che dovranno trovarle un minimo interessanti, capirle, apprezzarle e via dicendo.

Non c’è niente da fare: nel bene e nel male noi nasciamo come creature relazionali, “destinati” ad essere costantemente ed inevitabilmente in “relazione con…”.

Vi chiedo un’ultima riflessione in merito: vi sembra credibile ritenere che i “tratti caratteriali” che maggiormente ci hanno messo in difficoltà, scarsa autostima, ansia, irritabilità, umore depresso e così via, abbiano una “storia”, siano cioè nati e cresciuti all’interno di determinate esperienze relazionali che concretamente abbiamo fatto: “sono un tipo ansioso perché in casa succedeva che … ; non ho molta fiducia in me perché a scuola la maestra mi diceva spesso che … e così via”?

A questo punto la dico cercando, come sempre, di essere il più semplice e concreto possibile: se determinate relazioni mi hanno fino ad ora “insegnato” alcune cose negative su di me, come ad esempio “non valgo”, “non sono capace”, “devo stare costantemente all’erta”, “non posso sopportare questo dolore”, “non mi posso fidare”, “me lo merito perché ho sbagliato”, “posso aspettarmi solo il male dagli altri”, “sono strano”, “queste cose capitano solo a me” e così via, forse esiste la possibilità che, attraverso la stessa via, nuove esperienze relazionali mi possano aiutare a modificare ciò che ho “appreso” e ad “imparare” qualcosa di diverso, di più gradevole e di più vicino alla realtà su di me.

In poche parole: la maggior parte dei gruppi che vengono proposti come esperienze in grado di intervenire positivamente sul benessere individuale vogliono, in vario modo, rendere reale questa possibilità.

castellers-921018_1920

Quali che siano le finalità e, conseguentemente, le caratteristiche dei diversi percorsi di gruppo, gran parte di questi condivide quelli che definirei i “tratti vincenti” del gruppo, che la rendono un’esperienza per nulla “di ripiego” o “di serie B” rispetto a quella tradizionale “a due” delle relazioni di sostegno.

Perché partecipare ad un percorso in gruppo può tradursi in un esperienza “vincente” per il proprio benessere? Se ti interessa saperlo prosegui con la lettura cliccando qua.

Lascia un commento.