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“Se non la eviti la conosci: cosa è l’ansia?” – Prima parte

Cosa è l’ansia?

Iniziamo con una semplice domanda: quanto siete d’accordo con le definizioni sull’ansia dell’immagine qua sotto?

Provate a dare ad ognuna un valore da 1 a 5, dove con 1 esprimete un totale disaccordo e con 5 un totale accordo.

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Sono pronto a scommettere che quasi tutte le vostre risposte hanno ottenuto un punteggio di 4 o 5.

Se così non è, vi assicuro che la maggioranza delle persone la pensa diversamente da voi.

E’ proprio la diffusione di simili modalità estreme di percepire l’ansia e relazionarsi con questa che contribuisce a far sì che qualcosa per sua natura di non problematico, possa frequentemente diventarlo anche in maniera decisamente debilitante.

Ho appena anticipato qualcosa che apparirà sicuramente più chiaro tra un po’. Andiamo quindi con ordine e torniamo alla nostra domanda: cosa è l’ansia?

Ci aiutiamo con un esempio.


Pensiamo ad un sistema o ad un organismo perfettamente in equilibrio, ad esempio immaginatevi durante una semplice camminata o una corsa a piedi. Osservate la vostra stabilità sul terreno, l’armonica successione dei passi, la respirazione: tutto è in equilibrio.

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Nel momento in cui però il sistema subisce delle diverse sollecitazioni, come nel caso di un terreno sempre più accidentato e dei suoi effetti sulla nostra camminata, l’equilibrio iniziale è spinto a cambiare, a riadattarsi alle nuove condizioni. Se poi le sollecitazioni sono particolarmente intense o improvvise, a causa ad esempio di un terreno inaspettatamente scivoloso, lo stato di equilibrio viene pericolosamente minacciato, tanto che si potrebbe anche cadere dolorosamente.
Questa esperienza di minacciosa “messa in crisi” di un preesistente stato di 
 equilibrio e della relativa condizione di sufficiente benessere, è ciò che    comunemente intendiamo quando parliamo di stress.
Ora, affinché il sistema sopravviva agli eventi stressanti, è necessario un adattamento che risulti efficace e che avvenga in tempi rapidi.
Per non cadere a terra e farsi male il nostro corpo è infatti in grado di innescare automaticamente, una sorta, potremmo dire, di “scarica” che attiva immediatamente le varie parti dell’organismo affinché reagiscano alle sollecitazioni “terreno scivoloso” e mantengano il corpo in piedi.
Inoltre, all’interno di un sistema ben funzionante, si innesca un ulteriore meccanismo che, facendo memoria di quanto accaduto, sviluppa la capacità di prevedere e anticipare la possibile futura azione degli elementi stressanti per farsi trovare già pronto a rispondere alle loro sollecitazioni. Una sorta di “sistema di allarme” che informa su quanto sta per accadere, dicendo: “attento, qua è dove sei scivolato l’altra volta”. Sistema di allarme che, nello stesso momento in cui informa chi sta per subire l’attacco, già lo prepara, lo attiva per un’eventuale reazione rapida.
Ecco: l’ansia è questo sistema di allarme.


L’ansia è un prezioso sistema di allarme.

Pensando all’esempio appare chiara la funzione dei diversi eventi che caratterizzano l’esperienza dell’ansia, così come ognuno di noi non farà molta fatica a recuperare dalla propria memoria. Ognuno di questi eventi, corporei, cognitivi o emotivi, è una componente importante di questo sistema di allarme: lo stato emotivo, una condizione di irrequietezza e disagio simile alla paura, avvisa della presenza di una situazione di pericolo; i pensieri ricorrenti e martellanti concentrano l’attenzione su ciò che desta preoccupazione; l’attivazione corporea, respiro, battito cardiaco, tensione muscolare, preparano l’organismo ad una rapida azione di risposta.

A questo punto, giustamente, molti potrebbero sottolineare che la loro esperienza in merito all’ansia non è quella di un “sistema di allarme” attivante che aiuta la mente a concentrarsi su qualcosa che occorre affrontare ma di un evento che occupa negativamente la scena bloccando o spingendo alla fuga.


In definitiva, tornando ancora al nostro esempio, una parte dei “corridori” anziché dirsi “devo stare più attento qua perché si scivola” si ritrova invece ad evitare di passare ancora da quel luogo, a costo magari di passare in punti più faticosi o che allungano il percorso, o, addirittura, a smettere di praticare questo sport per il timore di farsi male.


Questa è un’obiezione corretta, senza ombra di dubbio, ma ciò che occorre domandarsi è se gli effetti negativi di questa esperienza siano dovuti all’ansia in sé o piuttosto a specifiche modalità non corrette con cui abbiamo imparato a rapportarci con questa, testimoniate anche dalle risposte che abbiamo dato alle domande iniziali.

Viviamo forse nell’epoca del “niente ansia?”

    • E’ influente e diffusa la richiesta rivolta ad ognuno di essere individualmente sempre al massimo, sempre “giusto”, sempre “al passo”, in definitiva sempre “di successo”; è vietato sbagliare, non si può fallire, bisogna eliminare ogni accenno di “debolezza”. Vissuta in questi termini l’ansia non è tollerabile, anche perché può espormi al giudizio, alla degradazione, all’esclusione.
  • Soprattutto i nostri figli non devono affrontare l’ansia: devono avere tutto quello che si può e nel minor tempo possibile, non devono essere valutati, guai se qualcuno li tiene in panchina e così via.
  • E’ possibile trovare facilmente “in rete” molto di ciò che nel quotidiano espone al rischio della frustrazione ed alla fatica della gestione dei suoi effetti sul benessere personale.
  • Ogni minimo elemento di disagio ha subito pronto un’ampia proposta di farmaci in grado di attenuarlo o, ancora meglio, eliminarlo.
  • Il panorama delle tecniche di gestione dell’ansia è ricco come non mai.

Mi soffermo per un istante sugli ultimi due punti che risuonano distanti da ciò che desidero esprimere se lasciati così. Non vogliono essere in questa sede in discussione gli interventi farmacologici e, tantomeno, le svariate tecniche di gestione dell’ansia, indubbiamente in grado di alleggerire ed in molti casi risolvere condizioni soggettive di sofferenza anche gravose. La critica è semmai rivolta alla frenesia e, soprattutto, all’esclusività con cui ci si può ritrovare a fare ricorso a farmaci o tecniche di vario genere, tendenza diffusa che sembra appunto rispondere, ancora una volta, alla “facile” ma superficiale individuazione del fatto che sia proprio l’ansia il problema da “zittire”.

Riflettiamo: nel momento in cui suona un allarme, cosa succede se mi fermo a questo, se lo vedo come un fastidio, se anziché “ascoltarlo” mi propongo di “zittirlo”? E cosa succederebbe se tale sistema fosse impossibile da zittire e se incominciasse invece a suonare ogni volta con sempre maggiore intensità e a diventare sempre più sensibile? A questo punto diventerebbe davvero lui il problema su cui intervenire ma all’inizio le cose non stavano così.


Ricorriamo ad una nuova immagine, che ricorderà a molti di noi episodi recenti e purtroppo sempre più di attualità. La presenza di un canale naturale in mezzo ad un quartiere in espansione di una città può informarci che di lì è defluita o ancora defluisce dell’acqua in determinate circostanze, ma è brutto, è fastidioso, è un ostacolo alla viabilità che è troppo costoso affrontare in altro modo e allora viene interrato.

Piove e i primi allagamenti ci informano in maniera ancora più decisa che di lì passa dell’acqua, che c’è qualcosa che va riconosciuto, affrontato, gestito e, se necessario, lasciato sfogare ma noi continuiamo a vedere solo il problema alla viabilità e asfaltiamo, costruiamo. 

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      Alla fine arriva un’inondazione, che, se ci pensiamo, può ricordare in effetti l’esperienza di un disturbo d’ansia o di un attacco di panico, che porta via tutto.


E se anziché un nemico avessimo “in casa” un alleato?

Forse dovevamo prenderci un po’ di tempo prima, “sederci” vicino a quel canale, osservarlo, guardarlo come si comporta, cosa mi dice alle prime piogge … forse bisogna “sedersi accanto” alla propria ansia, ascoltarla.

Questo alleato mi direbbe allora di prestare attenzione, mi ricorda che non posso avere tutto e subito, che devo aspettare, che non sono immortale, che non sono infallibile, che non sono onnipotente, che ho dei limiti e mentre me lo dice attiva gli strumenti di cui sono dotato per poter osservare dalla giusta prospettiva questi limiti e per affrontare tutto ciò che, “approfittando” della loro esistenza, cerca di mettermi in difficoltà.

Sicuramente questo “sedersi accanto” resistendo al disagio o alla paura vera e propria non è facile, non è innato, infatti inizialmente chiediamo ai nostri genitori di farlo per noi, di “insegnarci” come si fa, con risultati spesso disastrosi all’interno delle richieste dell’epoca del “niente ansia” da cui loro sono sommersi.

E’ una posizione che deve maturare, che è frutto di un percorso di apprendimento che richiede il farne esperienza, che non svilupperò mai però se “evito” l’ansia, pagando poi il prezzo di questo mancato apprendimento quando, prima o poi ed in varie forme, sarò comunque costretto ad affrontarla.

Gran parte dei problemi legati all’ansia nasce proprio lungo questo percorso di apprendimento, il che ci dice due cose importanti:

⇒  non è l’ansia “il nemico” ma le modalità con cui “ho imparato” a relazionarmi con lei;

⇒  se queste modalità sono qualcosa che “ho imparato” allora posso pensare sia possibile un cambiamento, attraverso nuovi “apprendimenti” che, come vedremo nella seconda parte di queste riflessioni, mettano in discussione, “rompano”, accrescano, modifichino quanto assorbito dalle precedenti esperienze.

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“Se continui a guardare la pentola, l’acqua non bolle mai” (S. King)

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